lunedì 30 aprile 2018

Un'ultima partita a Teresina

Dovrei ricominciare a scrivere.
Dovrei.
Prendere il buono e il marcio e ficcarli in un frullatore emotivo. Spezzatini di vita cotti sulla brace.
Ricominciare da quella roba.
La solita. Il vecchio e rattoppato muscolo che con fatica si riaffaccia. Cucù. Ha l'anca sbilenca anche lui.
Due anni che non batteva. Bhè. Non è che ora batta.
Diciamo che c'è questa sensazione un po' antica di andare a letto con pensieri buoni. Pensieri buoni che hanno occhi da cucciolo.
La vecchia e cara voglia di stringere, mordere e graffiare.
Senza l'ansia perchè la completezza è giunta inaspettata sotto forma di soffice e vivace famiglio dagli occhi d'ambra.
Un po' accidia. Un po' Isola che non c'è.
Un po', forse, contessa Bathory che mantiene la gioventù circondandosi di giovani vergini.
Paure ancestrali. Salti generazionali. Citazioni improbabili.
Primavera forse. E progesterone in quantità chimiche.
Vivo d'arte. Vivo d'amore. Morirò di tisi a quanto pare.
E quel sapore di pulito, quel non odore che mi fa ancora perdere battiti è perso nella nebbia, lui sì che banchetta su corpi di giovani vergini arrancando, aggrappandosi a questo ultimo pasto luculliano che la vita gli offre. Un chai latte esotico spruzzato di cannella, una bambolina con tatuaggi nascosti e reggiseni imbottiti.
Forse siamo entrambi molto ridicoli. O molto vigliacchi.
Giochiamo a Teresina con le carte truccate mentre al nostro tavolo di Black Jack ancora ci aspettano i posti a cui abbiamo appena accennato a sederci anni fa.
Ma a quanto pare les jeux sont fait e queste poche fish rimaste è qui che ce le dobbiamo giocare.
L'ultima partita.
L'ultima rincorsa giù dal precipizio.
L'ultimo tentativo sbagliato.
L'ultimo errore. L'ultimo respiro.